lunedì 11 aprile 2016

L’agio dei caffè letterari e il pensiero nobile (parte 1)

di Carlo Maria Nardiello
Padova, esterno  lato sud
del Caffè Pedrocchi
La discussione, più di ogni altra azione umana, permette di attivare, aguzzare e affinare l’ingegno. Leonardo Bruni si chiedeva: “Che cosa c'è, quando la gente è stanca e abbattuta, e quasi disgustata dalla lunga e assidua occupazione (lavorativa), che meglio la rinfreschi dei discorsi scambiati in comune?” Tra i letterati, quelli veri, il confronto è avvertito come una necessità alla base di speculazioni non aleatorie ma di senso, supportate e sempre vere, anche a distanza di anni, decenni, secoli: come solo la semplice Verità è in grado di garantire.
Luogo un tempo deputato ad ospitare il parto di idee nuove, originarie e originali, ma soprattutto vere, è il caffè letterario. La relazione tra cornice e quadro rende l’opera integralmente gradevole all’occhio del fruitore di ogni tempo, allo stesso modo se il dolce cullare del pensiero nasce in un hic confortante il nunc è destinato a farsi il pensiero del sempre. È per tale ragione che i caffè letterari, in Italia e nell’Europa del pensiero libero e democratico, si riconoscono dalla ricchezza degli interni, mai sfarzosa ma sempre calibrata sugli standard del buongusto, della pacata distinzione e della graziosa finezza che sole possono originare una riflessione alta, ponderata ed edificante, strictu sensu.
Il sodalizio di menti pensanti predilige la ricercatezza, la cura del dettaglio, la cortesia condivisa e la qualità del cibo (per la mente e l’animo oltreché per il corpo). Tutte queste qualità rimangono esclusive dei caffè letterari sopravvissuti alle ideologie culturali, alle politiche eversive e all’impazzare di architetti chiamati a riqualificare i nostri centri storici.
Tra i caffè letterari che, al pari o più di altri, dialogano col passato e hanno mantenuto intatte talune peculiarità è il Pedrocchi di Padova. Nato sulla scia del furore patriottico d’inizio Ottocento, il rifugio patavino di sentimenti unitari si dota anche di un foglio settimanale di politica, storia, letteratura, «Il Caffè Pedrocchi» edito da Jacopo Crescini. Il Caffè Pedrocchi è stato il Pantheon dell'intellighenzia ottocentesca, un brulicare di discorsi forgiati da saperi mai sopiti: la diva Eleonora Duse, l'insaziabile Gabriele d'Annunzio, il riottoso Filippo Tommaso Marinetti, i francesi Balzac e Stendhal sono solo alcuni dei frequentatori di un nobile passato che la città non dimentica. Situato nel cuore pulsante della “città del Santo”, in via 8 febbraio (in memoria del medesimo giorno del 1848 quando studenti e il popolo tutto si riscuotono dal torpore e sfidano apertamente gli austriaci, segnando così l’avvio dei Moti risorgimentali in città e in tutto il Veneto) oggi il Caffè Pedrocchi permette al curioso, all’appassionato, o al turista di entrare in un unico ambiente diviso in tre sale comunicanti (da qui l’appellativo un tempo in uso di “caffè senza porte”). Esse portano il nome del colore dominante, che insieme omaggiano il tricolore italiano: la Sala Verde, la Sala Bianca, la Sala Rossa. In quest’ultima uno dei muri custodisce un proiettile sparato dalle armi austriache nel giorno della ribellione, prezioso monito alla libertà conquistata e da conservare col fuoco della memoria storica. Ma la Storia ricorderà il Pedrocchi anche grazie al celebre Avvertimento della Certosa di Parma, nel quale Stendhal scrive di trovarsi «a Padova, fortunata città in cui, come a Venezia, godersi la vita è la prima e maggior occupazione e non lascia tempo a sdegnarsi di vicinanze fastidiose» dove ha modo di consumare direttamente «dal Caffè Pedrocchi un ottimo zabaglione».
Padova, la Sala Rossa del Caffè Pedroccchi

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