giovedì 10 novembre 2016

Un luogo da vivere: il Cimitero degli Artisti e dei Poeti di Roma

di Carlo Maria Nardiello


È una meditative walking quella che si percorre all’interno del Cimitero Acattolico nel quartiere Testaccio di Roma, meglio noto come il Cimitero degli Artisti e dei Poeti. L’umana, e unanime, paura dell’oblio, che si traduce in dimenticanza, è quella che accompagna l’esistenza fino al momento nel quale il nome di ciascuno viene scolpito nella pietra. In tal modo la memoria è preservata, i passanti possono conoscere -o riconoscere- i nomi, quasi mai la vita che c’è stata dietro. 
Che questo sia un luogo intimamente radicato nel Passato lo si evince sin da subito, grazie alla Piramide di Caio Cestio (completata nel 12 a.C.) che come una meridiana segna l’inesorabile scorrere del tempo con la sua lunga ombra proiettata sul curato verde del monumento alle vite trapassate. La Via Ostiensis, scoperta durante operazioni di scavo, segna un valico fra la parte antica e la Piramide; tuttavia alla vista il discrimine è occultato e Passato e Presente si stringono in un legame antico e duraturo. 
All’interno del cimitero la vitalità del quartiere Testaccio sembra annullarsi, grazie ad una surreale sensazione di silenzio, di lontananza dal contingente contemporaneo così presente eppure così lontano dai pensieri di chi sceglie di immergersi all’interno delle mura, in compagnia di accoglienti “padroni di casa” mai indiscreti né impertinenti. Eppure, nonostante la loro riservatezza, questi pongono il passante nella condizione di interrogarsi: così la tomba riconduce al momento valoriale dell’esistenza, esaltata, esaltante, oppure no. Il memento mori di foscoliana discendenza qui si traduce nell’urgenza di afferrare ciò che di buono la vita dona per consegnarlo alla memoria ventura. 


La catena dell’essere si riconosce fra le tombe di uomini e donne per lo più sconosciute (sono quasi quattromila i sepolcri qui radunati) mentre pochi sono i nomi celebri. Fra questi eccovi artisti e studiosi strappati all’assopimento perpetuo grazie al dono dell’Arte, della Storia. Fra tutti, primeggia per fascino e fama il nome di John Keats, il poeta emblematico di tutto il Romanticismo di marca britannica che giunto a Roma per sfuggire la morte, dopo quattro mesi trascorsi in una casa che affaccia su Trinità dei Monti in Piazza di Spagna (l’attuale Keats-Shelley House) nel febbraio 1821 ha dovuto cedere all’inesorabile, appena venticinquenne. 

Here lies One 
whose name was writ in Water 

è l’iscrizione riportata sulla lapide del poeta, amico di Joseph Severn, che riposa al suo fianco. Entrambi sono sepolti nella parte antica del cimitero, insieme con il pittore danese Asmus Jacob Carstens (1754-1798), l’architetto americano William Rutherford Mead (1846-1928), William Shelley (1816-1819) figlio dei celeberrimi Percy e Mary Shelley. Inoltre in quest’area riposa il primo ospite dell’intero cimitero, uno studente di Oxford di nome George L. Langton, morto a seguito di un incidente a cavallo sulla via Flaminia, come riporta l’iscrizione sulla sua lapide, e qui sepolto nel 1738. 
Nella parte più grande e più affollata del parco segue una serie di tombe nazionali. Esse sono: la Swedish Grave, la Danish Grave, poi la Greek Grave, ancora la German Grave e infine la Tomba Comune Russa, a testimoniare una convivenza possibile solo a seguito della vita terrena, in un domani privo di divisioni, di distinzioni linguistiche e religiose.

Le violette, gli agrifogli e i cipressi del Cimitero di Testaccio fanno da scudo al riposato sonno anche di Percy B. Shelley, il Cor Cordium delle Lettere. La sua lapide reca una citazione dalla Tempesta di Shakespeare: 

Nothing of him that doth fade, 
But doth suffer a sea-change 
Into something rich and strange. 

Non distante è possibile incontrare Carlo Emilio Gadda, l’autore del Pasticciaccio, e ancora Antonio Gramsci e il giovane August, figlio di Johann Wolfgang Goethe “l'ultimo uomo universale a camminare sulla terra” (G. Eliot). La lapide del piccolo Goethe è impreziosita da un medaglione eseguito dallo scultore danese Bertel Thorvaldsen, fra i massimi testimoni del neoclassicismo. 
Uomini e donne celebri e non, ognuno interessato alla conquista di un fazzoletto di terra dolce e magico per garantirsi un lieto aldilà ben radicati sulla Terra hanno scelto questo angolo di mondo. La promessa di una memoria non negata dalla negligenza di chi sopravvive, anelata e rincorsa, trova realizzazione fra le antiche mura che delimitano lo spazio e invitano i turisti, i passanti, i residenti a varcare la soglia per scoprire un al di là (e un aldilà) che è un al di qua: della vita vissuta qui e ora.
Camminare in questo luogo tutto da vivere e scoprire è un inno al tempo lento, posato e riposato incorniciato dalla Via Ostiensis e dalla Piramide. La tomba diventa allora un indicatore, un riflettore puntato sulle esistenze passate che non si pongono, come accade altrove, in qualità di monito o suffragio, ma invitano alla riflessione intorno a ciò che si è stati, si è, si sarebbe potuti essere.


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