sabato 3 dicembre 2016

La sesta declinazione: Love

di Carlo Maria Nardiello


Le donne, i cavallier, l’arme, l’amor: il chiasmo del Furioso sembra essere la sintesi più adatta per raccontare la mostra LOVE. L’arte contemporanea incontra l’amore, in scena all’interno del Chiostro del Bramante. Le donne e gli uomini (moderni cavalieri) che, indossando i panni dell’artista, hanno contribuito alla ricchezza contenutistica del tema per eccellenza (l’Amore) tramite l’affannoso ricorso ai più svariati strumenti (armi) in proprio possesso sono i protagonisti di questa delicata e storica mostra. 
Radunare in un unico spazio le manifestazioni artistiche contemporanee dedicate al più classico fra i temi è senza ombra di dubbio significativo di un’urgenza umana e universale che non poteva essere taciuta e trascurata: ecco, quindi, che la mostra capitolina dedicata all’Amore assume una valenza curativa e terapeutica. Il colpo d’occhio si realizza sin dall’avvio dell’iter grazie all’installazione bicromata Amor di Robert Indiana (1928), che riesce nel tentativo di rendere tridimensionale un sentimento solitamente confinato all’animo. 
La mostra, che non intende rispondere alla domanda “che cos’è l’amore?” ma offrire una molteplicità di punti di vista, indica un cammino che dalla Pop Art di Tom Wesselmann (1931-2004) -sue le tre opere Smoker del ’71 e Sunset Nude e Smoker #3 3-D del 2003- e di Andy Wharol (1928-1987) prosegue come un flusso ininterrotto di immagini, installazioni, sculture, video e foto (praticamente tutto il bagaglio creativo del secolo scorso).


La proposta del curatore dell’evento, Danilo Eccher, prosegue difatti lungo le “parole al neon” di Tracey Emin (1963), le sculture violente e crude di Mark Manders (1968), il video di ventun minuti Love della più nota artista australiana dei nostri tempi, Tracey Moffatt (1960) e Crystal Gaze, il video di cinquanta minuti realizzato dalla regista e sceneggiatrice francese Ursula Mayer (1971). 
Rifuggendo dalla banalità espositiva e cercando una partecipazione del pubblico (incentivando in tal modo una fruizione partecipata e partecipativa all’allestimento museale) la mostra celebra con una sala-privé Ragnar Kjartansson (1976), l’artista islandese autore del video di trenta minuti dal titolo God, nel quale la messa in scena sui toni del rosa fa da sfondo teatrale ad un’orchestra e all’artista stesso nell’atto di cantare Sorrow will conquer Happiness. “Art for all” è, invece, il manifesto gridato dalla coppia artistica Gilbert&George (Gilbert Prousch del 1943 e George Passmore del 1942) qui esposti con due opere della serie Union Jack, dove è forte sin dal titolo l’amor di patria professato dai due inglesi. Le colorate e sonore installazioni di Nathalie Djurberg e Hans Berg (entrambi del 1978) riempiono il vuoto creativo della modernità con immagini e creature frutto della fantasia proposte dalla serie The Clearing, quasi un inno al mondo delle fiabe.
Il mega Coraçao Independente Vermelho #3 è il cuore vermiglio (di oltre tre metri d’altezza per due di larghezza) pendente dal soffitto realizzato dall’artista Joana Vasconcelos, nativa francese ma attiva a Lisbona. Frutto di materiali di recupero di varia natura, le sue opere sono un inno all’oggetto decontestualizzato che si arricchisce di molteplici e insperati nuovi significati. Direttamente dall’informalismo britannico della “squadra” nota come Young British Artists (della quale fa parte, fra gli altri, anche il più pagato artista contemporaneo, Damien Hirst) è Marc Quinn (1964), qui presente con due olii su tela, un’installazione e una scultura. Proprio quest’ultima risulta la più coerente col resto della mostra e insieme la più dissacrante: Kiss, ovvero il bacio tra due innamorati deformi, ben lontani dai crismi della bellezza classica. La malattia, l’imperfezione si guarisce tramite l’eterno bacio fra i due amanti.
Ben tre sono gli italiani presenti nella cornice decisamente internazionale allestita presso il Chiostro del Bramante: Vanessa Beercroft (1971), genovese ma attiva a Los Angeles, che al centro della propria ricerca espressiva ha messo il corpo femminile ricorrendo alle perfomance con nudi in movimento, ma soprattutto a fotografie digitali (le due in mostra VBSS.010.MP e VBSS.003.MP, entrambe del 2006) e video che trascendono per natura dalla realizzazione in sé conclusa e assurgono a opere replicabili sempre e ovunque. Francesco Vezzoli (1971) guarda letteralmente al Passato, in gioco di sguardi che si specchiano nell’iconica bellezza della classicità, in una serie di fotografie “sovrastrutturate” della serie La Nuova Dolce Vita, nelle quali l’attrice Eva Mendes si confronta ora con Paolina Borghese, ora con la Venere del Trono Ludovisi. 


I delicati acquerelli di uno dei più famosi artisti italiani viventi, il napoletano Francesco Clemente (1952), accompagnano all’ultima tappa della mostra. Negli anni Settanta è stato esponente di spicco della Transavanguardia, uno degli ultimi movimenti artistici nostrani ad aver avuto un teorizzatore (il critico Achille Bonito Oliva) e un cenacolo d’artisti (Sandro Chia, Enzo Cucchi, Nicola De Maria, Mimmo Paladino): le quattro opere in mostra di Clemente, tutte recenti, esulano dalla stravaganza altrove smaccatamente ostinata all’interno della mostra e celebrano l’amore coniugale, con la moglie nelle vesti di musa ispiratrice. 

Ultimo passaggio del viaggio sulle note dell’amore novecentesco è il confortante approdo –che in realtà rappresenta un nuovo inizio- della Infinity Room di Yayoi Kusama (1929) dal semi-biografico titolo All the Eternal Love I Have for the Pumpkins, del 2016. Per la prima volta in Italia, dopo milioni di visitatori nella recente esposizione londinese, l’ottantaseienne artista giapponese aggiunge un altro tassello alla ricerca artistica iniziata nel ‘57 a New York. Un’istallazione fatta di legno, specchi (soprattutto specchi), plastica, acrilico e luci a led che cala l’osservatore in un caleidoscopio esistenziale grazie al quale la presenza del sé si fa co-protagonista dell’opera d’arte. Non è forse questo l’amore più grande? Darsi, e invitare gli altri a fare lo stesso, l’opportunità di vivere tutte le vite racchiuse nell’arco della nostra esistenza, in prima persona eppure mai soli, all’insegna della bellezza?


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